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Nota: aggiornato il 1 ottobre 2024
Prima di tutto: cosa intendiamo per design
Per capire cosa sia il legal design è necessario prima comprendere cosa si intenda per design.
Non esiste una unica definizione della parola design. I più la associano all’aspetto esteriore delle cose (di un mobile, di un oggetto).
Scavando più a fondo però scopriamo che design deriva dalla parola italiana disegno e disegno significa non solo rappresentazione grafica ma anche progetto, piano d’azione, proposito, intenzione. In ambito legislativo in questo senso si parla di “disegno di legge”.
Ciò non è ancora sufficiente: design, dunque, è un’attività processuale (cioè che segue un processo, una procedura) volta a creare qualcosa di nuovo o a rimodellare qualcosa che già esiste per soddisfare un bisogno, per risolvere un problema, per migliorare una situazione esistente.
Come viene eseguita questa attività, ossia come progettare
Sono diversi anni ormai che, a partire dagli Stati Uniti, si è diffuso un particolare approccio nel progettare un prodotto o un servizio: si parla di human centered design (design antropocentrico) per indicare una progettazione che parta dai bisogni delle persone per le quali si progetta e finisce con il trovare una soluzione ritagliata sui bisogni di quelle persone.
Grazie a questo approccio è possibile creare un prodotto o un servizio che soddisfi i bisogni delle persone che li useranno e, al tempo stesso, le esigenze della organizzazione che li fornisce.
Questa attività di progettazione avviene seguendo un metodo (lo vedremo più avanti): è più facile trovare la soluzione di un problema se si conosce il modo di procedere.
Cosa progettare nel mondo del diritto: il legal design
Questo tipo di approccio può essere applicato anche al mondo del diritto, in cui i problemi abbondano: dai documenti incomprensibili ai servizi inefficienti, c’è l’imbarazzo della scelta.
Quindi, cos’è il legal design?
Il legal design è il creare documenti, e più in generale contenuti legali, chiari, è il progettare servizi efficienti grazie a un approccio che parte sempre dai bisogni delle persone.
Grazie a questo approccio è possibile soddisfare sia l’esigenze di coloro a cui sono destinati i contenuti e i servizi, sia le esigenze dell’organizzazione che fornisce quei contenuti e quei servizi.
Due precisazioni:
- una progettazione incentrata sulle persone significa coinvolgere nella progettazione tutti gli attori coinvolti (stakeholders): le persone, gli uffici, la parte di organizzazione i cui interessi vengono in gioco rispetto al documento o al servizio.
Non solo, ad esempio, i clienti che devono firmare il contratto ma anche le persone che, all’interno dell’organizzazione concorrono a scrivere il contenuto di quel contratto.
Non solo gli imprenditori che si rivolgono alla Pubblica Amministrazione per ottenere una autorizzazione, ma anche gli uffici e i dipendenti della PA che si occupano di fornire il servizio attraverso cui viene concessa l’autorizzazione. - per contenuti legali intendo le informazioni legali testuali contenute in documenti come contratti, regolamenti, policy, pareri, bandi ma anche comunicate attraverso un sito web, una app o anche le informazioni non testuali come quelle comunicate attraverso un video, un podcast.
Cosa significa partire dai bisogni delle persone?
Ecco un semplice esempio: quando si vuole progettare un documento (pensate ad un contratto di assicurazione, ad una informativa privacy o ad un regolamento interno aziendale) è necessario porsi alcune domande: chi userà quel documento? Cosa ha bisogno di sapere? Qual è il suo obiettivo? Che conoscenze ha dell’argomento? In quale contesto deve usare il documento? E ancora: quali sono le esigenze dell’organizzazione che fornisce il documento? Quali sono i vincoli normativi che l’organizzazione è tenuta ad osservare?
Il legal designer (cioè, colui che progetta) sulla base delle risposte a queste domande potrà organizzare e mostrare le informazioni in maniera tale da creare un documento comprensibile per la persona a cui è destinato e allo stesso tempo conforme alla legge e in linea con i bisogni dell’organizzazione che lo ha ingaggiato
Un altro esempio: il recesso in caso di acquisti online.
Un consumatore vuole restituire un prodotto acquistato online; in questo caso vengono in gioco sia gli interessi dell’e-commerce ad una gestione efficiente del reso, sia l’interesse del consumatore a restituire nella maniera più semplice possibile il prodotto acquistato.
Il legal designer dovrà progettare la procedura di reso in modo tale da fare incontrare gli obiettivi dell’azienda e i bisogni del suo cliente: non si limiterà soltanto a scrivere in modo chiare le regole in base alle quali recedere, ma, ad esempio, cercherà di capire se costruire sul sito una pagina ad hoc con un form magari collegato al CRM dell’azienda o se comunicare le regole nelle faq o con una infografica.
E per fare questo lavorerà a stretto contatto con gli sviluppatori del sito, con il customer service, gli addetti alle vendite e con chi si occupa di comunicazione o di contenuti.
Perché il legal design?
Il legal design nasce da una constatazione: law is broken, per dirla in inglese.
Cosa vuol dire?
Pensate ad un contratto di assicurazione auto, di fornitura di luce o gas o al contratto con si apre un conto corrente bancario: un muro di parole scritto in un poco comprensibile legalese che non aiuta a creare un rapporto di fiducia tra il fornitore ed il cliente.
Pensate alle condizioni di vendita di servizi online, accettate dagli utenti senza essere consci delle insidie che possono celare. Insidie che, quando vengono a galla più in là nel tempo, si traducono in clienti arrabbiati e, sostanzialmente, in un danno per l’azienda.
Pensate alle informative privacy che, a causa della loro lunghezza e complessità tutto fanno fuorché informare.
Pensate a quei regolamenti aziendali scritti da esosi consulenti ma che nessuno dei dipendenti dell’azienda ha mai letto e che quindi non assolvono alla funzione per la quale sono scritti: proteggere l’azienda da rischi di varia natura.
Pensate a quando, titolari di azienda o semplici cittadini, vi siete persi nel labirinto di una procedura per ottenere un permesso o un documento dalla pubblica amministrazione o per esercitare un diritto.
Labirinto costruito da burocrati o giuristi che non si sono messi nei panni dei cittadini o delle aziende che vogliono ottenere quel permesso o esercitare quel diritto.
Law is broken: per le aziende, i cittadini, la pubblica amministrazione ciò si traduce in uno spreco di soldi, di tempo, di energie mentali.
“Abbiamo sempre fatto così” è la ricorrente giustificazione, sintomo di un atteggiamento che privilegia la conservazione della rendita di posizione rispetto ai bisogni di tutti gli stakeholders.
Il legal design si propone di capovolgere questa prospettiva, di trovare soluzioni che generino valore e che prevengano i conflitti.
Adottare una modalità progettuale
“Facciamo così perché abbiamo sempre fatto così” è la ricorrente giustificazione di chi fornisce documenti e servizi, che si ripara dietro la consuetudine ma che no si è mai interrogato se essi producano risultati soddisfacenti.
Il legal design si propone di capovolgere questa prospettiva. Infatti, adottare approccio, forma mentis e metodi del design significa passare da una modalità convenzionale con cui si sono sempre creati documenti o servizi (che appare l’unica possibile) ad una modalità progettuale.
La modalità progettuale, applicabile in ogni campo del sapere e della vita, significa guardare con senso critico alla realtà delle cose e riconoscere ciò che non funziona bene, immaginare come le cose potrebbero essere diversamente, creare qualcosa che sia il più possibile vicino a ciò che abbiamo immaginato, tenuto conto dei vincoli da osservare (normativi e non solo), delle risorse che abbiamo a disposizione, del contesto in cui operiamo.
Il legal design come processo
Quasi sempre, almeno in Italia, si parla di legal design in relazione soltanto ad un contratto o ad un’informativa privacy visuali.
Si trascura del tutto che quel documento è (o dovrebbe essere) soltanto il risultato finale di un processo ben più articolato dell’inserire una icona all’interno del documento solo per renderlo più piacevole da vedere.
Qual è questo processo?
Nel corso degli anni i designer hanno elaborato un metodo progettuale, ossia una serie di operazioni da seguire per individuare nella maniera più efficiente la soluzione del problema da affrontare.
È soprattutto a questo proposito che sentirete parlare di design thinking. In cosa consiste?
1. Individuare il problema
A grandi linee, il metodo progettuale parte da una fase di osservazione, di ricerca e di raccolta dei dati.
Questa prima fase serve a individuare il problema da risolvere: si cerca di capire quali sono gli interessi degli stakeholders, i loro bisogni, gli ostacoli che incontrano nel realizzare i loro scopi, il contesto in cui operano.
Un altro aspetto importante a cui prestare attenzione in questa fase sono i vincoli normativi da rispettare. Quali norme entrano in gioco? Quali provvedimenti delle autorità regolatorie?
È bene sottolineare che il rispetto di questi vincoli è ovviamente imprescindibile in ogni progetto di legal design, al termine del quale dovrà essere creato un documento o un servizio conforme in toto alla legge.
2. Risolvere il problema
Grazie alle informazioni raccolte, il designer può ideare possibili soluzioni al problema. Delle tante idee generate svilupperà quelle che appaiono più promettenti alla luce dei dati raccolti nella prima fase.
Di tali idee crea un prototipo (ad esempio, una bozza di documento) da testare con gli stakeholders. Soltanto la prova sul campo potrà dire se è stato creato qualcosa di efficace che risponde ai bisogni di tutti gli attori coinvolti.
È un processo iterativo
Il legal designer non è un deus ex machina che cala dall’alto una soluzione. L’attività progettuale è infatti una attività collaborativa e di co-progettazione: gli stakeholders giocano un ruolo importante insieme al legal designer che conduce il processo.
È un processo collaborativo
Il legal designer non è un deus ex machina che cala dall’alto una soluzione. L’attività progettuale è infatti una attività collaborativa e di co-progettazione: gli stakeholders sono parte attiva del processo condotto dal legal designer.
Il legal design come mentalità
Durante tutto il processo il designer deve fare propria una forma mentis che lo porti a prendere in considerazione il punto di vista di tutte le persone (gli stakeholders, come ho scritto prima), a essere pragmatico ma allo stesso tempo visionario, a collaborare con chi ha competenze diverse. Ad allargare lo sguardo, in poche parole.
Questo è probabilmente l’aspetto più complicato del legal design per chi è avvocato o comunque giurista: costui è abituato a fare le cose sempre in un certo modo, a dire (quasi sempre) no e ad avere l’ultima parola, a fare dotti discorsi astratti e di principio ma con pochi agganci alla realtà dell’organizzazione, a lavorare in solitaria.
Il legal design come cassetta degli attrezzi
Nel corso del processo il designer utilizza una serie di strumenti grazie ai quali poter meglio individuare il problema e trovare la soluzione. Questi strumenti sono molteplici e ognuno ha una sua specifica funzione
Un esempio è la journey map, che descrive in maniera sintetica e visuale l’esperienza più o meno piacevole di un utente nell’usufruire di un servizio legale.
Processo + forma mentis + strumenti = legal design
Processo, mentalità e strumenti sono strettamente legati tra loro: considerare l’uno senza gli altri significherebbe improvvisare e smorzare l’impatto del design sul mondo del diritto. Per poi riprendere, il giorno dopo, a fare le cose nel solito modo.
Per saperne di più: il manifesto del legal design
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