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Nell’ultimo anno ho realizzato alcuni progetti di legal design: ho messo mano a contratti e informative privacy più che altro. Sulla base di queste esperienze, ecco alcuni consigli per i legal (designer).
1. Start small
Come primo passo è consigliabile partire da qualcosa di piccolo.
Partite da un documento accessorio, da un piccolo problema da risolvere. Sperimentate in un piccolo ambito cosa significa mettere in piedi un progetto di legal design.
Soltanto dopo mettete mano ai problemi più complessi e ai documenti più (lunghi e) complicati.
Questo per due ragioni: la prima è che il legal design è un qualcosa di ancora poco noto o verso cui c’è diffidenza. Procedere con cautela rassicura gli scettici. Creare qualcosa di piccolo ma di utile può abbattere le barriere.
La seconda ragione è che partire da qualcosa di più ridotto permette, anche a chi propone questo servizio, di prendere confidenza con il modo di progettare, con il modo di collaborare con i designer, di proporsi ai clienti, di parlare un linguaggio nuovo.
Partire piccolo è la chiave per approdare poi a progetti più grandi.
2. Gli strumenti giusti
Partire piccolo permette anche di imparare a usare nuovi strumenti senza troppe ansie. Soprattutto in un periodo di collaborazione da remoto, è inevitabile familiarizzare con Miro, Mural o altri software di grafica.
Personalmente, se mi chiedono di riprogettare un documento la prima cosa che faccio è stamparlo per avere una visione di insieme.
Questo mi permette di individuare meglio eventuali pattern che a schermo non noterei. Lavorare su un documento significa alternare in continuazione il grandangolo ed il microscopio. I dettagli hanno un senso solo se inseriti nel più ampio contesto.
Ancora, come scambiare le osservazioni sul mockup creato dal designer? È importante individuare un tool semplice da usare e che vi permetta di scambiare facilmente opinioni sia sui testi che sugli aspetti visuali.
Dall’altro lato, ci sarà sempre un legale affezionato agli scambi di file creati con Word, in cui diventa poi difficile andare dietro alle varie revisioni.
3. Il rapporto con i designer
Dovrete guidarli e farvi guidare da loro, a seconda delle circostanze; frenarli e lasciarli liberi di ispirarvi e di mostrarvi connessioni che voi giuristi non avete colto.
A volte dovrete mostrare loro i vincoli entro cui lavorare, ad esempio nei contenuti, perché imposti dalla legge.
Le loro osservazioni, di persone estranee alle astrusità del mondo del diritto, vi metteranno altre volte di fronte alla nuda realtà: ad esempio, usiamo certe espressioni solo come cliché, a danno della user experience.
E allora, sarete grati nei confronti dei designer, che vi aiutano a guardare il diritto sotto una nuova luce.
4. Linguaggio
A proposito di linguaggio, non mi stancherò mai di ripetere che scrivere in maniera chiara e comprensibile è il primo passo. Aggiungo, difficilissimo passo. Noto che i committenti sono a volte portati a preoccuparsi troppo dell’aspetto estetico e troppo poco dei contenuti testuali.
A volte dovrete convincere il vostro interlocutore con la laurea in giurisprudenza che scrivere “parimenti, suddetto, ivi incluse” non va bene.
Vincere certe resistenze richiede pazienza.
Quasi dimenticavo: fare attenzione ad usare um linguaggio inclusivo non significa solo scrivere “clientela” e non “clienti” ma anche, se non soprattutto, interrogarsi sulla comprensibilità di tanti termini tecnici e meno tecnici.
Se si progetta un form di registrazione e viene richiesto il consenso “per finalità di profilazione”, è bene chiedersi se gli utenti del sito del vostro cliente comprendano il significato di profilazione.
5. Compromessi
Come avvocati siamo abituati ad avere spesso l’ultima parola con il cliente: “non puoi farlo! La legge dice che devi fare così!”.
Nei progetti di legal design a volte è inevitabile raggiungere dei compromessi sui contenuti, sulla interfaccia e così via. È necessario però che questi compromessi non inficino l’efficacia della soluzione congegnata o comunque abbiano un peso marginale nel contesto del progetto.