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“Posso applicare un sovrapprezzo se il cliente vuole acquistare un prodotto pagando in contrassegno?”
Questa è una domanda che i titolari di e-commerce mi pongono spesso.
Per dare una risposta bisogna districarsi tra norme europee, nazionali e provvedimenti dell’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato).
Cosa stabilisce il Codice del Consumo
Art. 62 (introdotto nel 2014):
Ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento,
a) spese per l’uso di detti strumenti,
b) ovvero nei casi espressamente stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista.
Quali sono i divieti che questa norma pone senza che vi sia alcun tipo di dubbio?
Per capirlo è necessario analizzare due provvedimenti dell’AGCM: uno del 2017 e uno del 2018.
I provvedimenti dell’AGCM
Il provvedimento del 2017: il costo di gestione del servizio di pagamento non può essere riversato sul cliente
L’AGCM sulla base di questa norma ha sanzionato nel 2017 cinque aziende fornitrici di luce e gas (A2A, Green Network, E.ON, Edison e Sorgenia) perché chiedevano ai clienti di pagare una commissione tra 1 e 4 euro, se sceglievano determinate modalità di pagamento delle fatture (ad esempio, bollettino postale o carta di credito).
Le società sanzionate si erano difese sostenendo che il il sovrapprezzo non rappresentava per loro una fonte di margine ma consentiva solo parzialmente la copertura dei costi di gestione dei pagamenti online.
Secondo l’AGCM, il costo di gestione dei pagamenti effettuati con carta di credito, non può essere ribaltato dall’impresa sul cliente: “è irrilevante, ai fini dell’applicazione del divieto, se tale importo corrisponda o meno al costo del servizio di pagamento, in quanto è insito nella ratio della norma che nessun addebito ulteriore possa comunque essere giustificato e ricollegato all’utilizzo di uno strumento di pagamento”.
Il provvedimento del 2018: in che forma sono ammissibili gli sconti
Nel 2018, l’AGCM ha sanzionato alcune agenzie turistiche online (“Lastminute, Volagratis, Opodo, Govolo, Edreams, Gotogate) perché applicavano un supplemento di prezzo in relazione al tipo di carta di pagamento utilizzata per l’acquisto di voli aerei.
Nel provvedimento dell’AGCM su Lastminute si legge che di default il prezzo di un volo visualizzato sul sito è quello più basso, corrispondente allo strumento di pagamento “meno caro”. Se si sceglie un diverso strumento di pagamento (ad esempio una diversa carta di credito) viene visualizzata una tariffa maggiore, in molti casi anche di 20/30 euro a tratta.
Una maggiorazione vietata dall’art. 62.
È interessante notare come, secondo l’AGCM, ”diverso sarebbe invece se il prezzo mostrato di default fosse quello massimo e il consumatore potesse successivamente visualizzare prezzi inferiori per diverse carte di pagamento“. Queste variazioni potrebbero essere infatti qualificate come “sconti” corrispondenti a diversi metodi di pagamento.
Questi sconti ”potrebbero essere effettivamente considerati leciti” visto che l’art. 62 del Codice del consumo rinvia all’art. 3 del Decreto Legislativo n. 11/2010, il quale prevede che l’impresa possa proporre riduzioni di prezzo ai consumatori a fronte dell’utilizzo di specifici strumenti di pagamento.
È chiaro quindi che è vietato imporre al cliente un sovrapprezzo in caso di pagamento con carte di credito.
Il pagamento in contrassegno
Il divieto stabilito dall’art.62 si applica anche al contrassegno?
Il provvedimento AGCM del 2016 e il comunicato stampa
Nel 2016 l’AGCM ha sanzionato due compagnie aeree (Norwegian Air e Blue Air) perché applicavano una maggiorazione di prezzo nel caso i clienti intendevano pagare con alcuni tipi di carte di credito.
Molti operatori di e-commerce sono saltati sulla sedia leggendo che “l’applicazione di un sovrapprezzo, collegato e corrispondente all’utilizzo di uno strumento di pagamento da parte dei consumatori, si pone in chiara violazione dell’art. 62 del Codice del Consumo. Vale la pena di sottolineare che la norma riguarda non solo le carte di credito, ma anche altre forme di pagamento come i bonifici e gli acquisti in contrassegno.
Il fatto è che quello appena citato è un estratto del comunicato stampa relativo al provvedimento AGCM, non del provvedimento vero e proprio.
Nel provvedimento è scritto che: ”L’art. 62 riguarda infatti l’utilizzo di qualsiasi mezzo di pagamento, compreso il contante (ma anche bonifici, buoni e gift card, addebiti diretti, sistemi alternativi o dispositivi). In questa ottica, “gli strumenti di pagamento” rappresentano un genus della famiglia dei “mezzi di pagamento”, al cui interno è presente, di certo, anche la specie “carte di pagamento”.
L’interpretazione dell’AGCM è criticabile
Quindi? Un comunicato stampa non ha certo lo stesso valore di un provvedimento. Però sembrerebbe che l’AGCM con l’espressione “compreso il contante” estenda il divieto previsto dall’art. 62 anche al pagamento in contrassegno.
Se così fosse, a mio parere l’AGCM commetterebbe un errore nell’interpretare l’art. 62.
Rileggiamolo (ho indicato le ipotesi a) e b) per una più agevole comprensione della norma, scritta molto male):
“Ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento,
a) spese per l’uso di detti strumenti,
b) ovvero nei casi espressamente stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista.”
Anticipo subito che la lettera b) non trova alcuna applicazione.
Come ha evidenziato l’AGCM “solo nei casi espressamente stabiliti, è possibile per il professionista applicare una maggiorazione, tale però da non superare i costi effettivamente sostenuti dal medesimo professionista. Allo stato attuale, tuttavia, non è stata introdotta nel nostro ordinamento alcuna deroga al citato precetto per cui, fermo restando che i beneficiari possono proporre riduzioni di prezzo ai pagatori, sui beni e servizi commercializzati, a fronte dell’utilizzo di specifici strumenti di pagamento, deve ritenersi che il divieto sia generalizzato senza eccezione alcuna”.
Cosa stabilisce la norma a cui rinvia l’art. 62 del Codice del consumo
A questo punto non rimane che analizzare il rinvio all’art. 3 comma 4, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11 che è stato appena modificato (nel dicembre 2017) per recepire la direttiva europea relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno.
Secondo questo art. 3, comma 4 “Il beneficiario non può applicare a carico del pagatore spese relative all’utilizzo di strumenti di pagamento”.
Nel nostro caso il beneficiario è l’e-commerce ed il pagatore il cliente.
Gli “strumenti di pagamento” sono definiti dall’art. 1, lettera s) come “qualsiasi dispositivo personalizzato e/o insieme di procedure concordate tra l’utente e il prestatore di servizi di pagamento e di cui l’utente di servizi di pagamento si avvale per impartire un ordine di pagamento”.
A sua volta il “prestatore di servizi di pagamento” è definito come (lett. g) ) “uno dei seguenti organismi: istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento nonché, quando prestano servizi di pagamento, banche, Poste Italiane s.p.a., la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali … ”
È evidente che nella definizione di prestatore di servizi di pagamento non rientra il vettore che, in base al contratto stipulato con l’e-commerce, nel momento in cui consegna il bene al cliente ha l’obbligo di riscuoterne il relativo prezzo.
Di conseguenza, il pagamento in contrassegno non rientra nella definizione di “strumenti di pagamento”.
Aggiungo che nei Considerando n. 22 e 23 della direttiva europea 2015/2366 (che trova ora applicazione nel decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11) si legge “non sarebbe opportuno che le nuove norme si applicassero ai servizi nell’ambito dei quali il trasferimento di fondi dal pagatore al beneficiario, o il loro trasporto, sia eseguito esclusivamente in banconote e monete” ed “è opportuno che la presente direttiva non si applichi alle operazioni di pagamento effettuate in contante dato che per il contante esiste già un mercato unico dei pagamenti”.
Mi sembra quindi difficile sostenere, come ha fatto l’AGCM, che “l’art. 62 riguarda infatti l’utilizzo di qualsiasi mezzo di pagamento, compreso il contante”.
Conclusioni
- L’e-commerce non può applicare maggiorazioni di prezzo a seconda del tipo di carta di credito messa a disposizione del cliente per pagare.
- L’e-commerce può applicare sconti a seconda del tipo di carta di credito (o più in genere, strumento di pagamento) messa a disposizione del cliente per pagare.
- Secondo l’AGCM, l’e-commerce non può applicare maggiorazioni di prezzo nel caso in cui il cliente scelga di pagare in contrassegno.
- Quanto sostenuto dall’AGCM è criticabile, alla luce della normativa nazionale ed europea. Tuttavia, poiché è l’AGCM è l’autorità competente a verificare l’osservanza della normativa e ad applicare le sanzioni in caso di sua violazione, al momento un e-commerce dovrebbe conformarsi a quanto stabilito dall’AGCM.